Il film Uno, due, tre! verrà proiettato all’aperto venerdì 8 luglio 2022 alle 21.00 nel giardino del Cinema Turroni. Vai alla pagina dell’evento
“La società non esiste, esistono solo gli individui”. La frase è di Margaret Thatcher (pare), ma forse anche Billy Wilder avrebbe potuto trovarsi d’accordo, visto che è molto difficile trovare nei suoi film – dalle commedie ai drammi – personaggi le cui azioni non siano motivate solo o soprattutto dall’interesse personale o da qualche profondissima passione-ossessione. Ma quasi certamente quello che per la lady di ferro inglese, ultraliberale e paladina dei ricchi e della società competitiva, è stato uno slogan di combattimento, era invece per Wilder una constatazione piuttosto amara, anche se indiscutibile. La politica non è certo un tema centrale nella produzione del regista euro-americano, ma si può dire che quasi tutte le vicende umane che ci ha proposto nel corso della sua lunga attività si svolgano sullo sfondo di una realtà in cui è chiaro che la compassione e la solidarietà non sono la regola. Quindi: il capitale e il mercato sono quasi un’ovvietà da dare per scontata. Ma non per questo sono il sistema adatto a rendere l’uomo felice, anzi.
“Uno, due, tre!” è stato girato in un momento storico straordinario, cioè pochi mesi prima che il governo della Germania comunista mettesse in atto la decisione di costruire il muro di Berlino, uno dei simboli della guerra fredda e insieme uno dei luoghi critici della storia di tutto il ‘900, una linea lungo la quale i due massimi sistemi della politica si sono a lungo confrontati con intensità producendo quasi sempre attrito e frizione. Wilder colloca proprio su questo margine problematico una vicenda¹ da cui, al di là della sua apparenza farsesca, riesce a ricavare una straordinaria sintesi in termini di interpretazione storica: in uno stesso luogo geografico il mondo del capitale e del mercato si incrocia da un lato con i residui di uno dei più spietati e sanguinari regimi di ogni epoca, fortunatamente decaduto, dall’altro con un sistema non molto diverso quanto a capacità di opprimere e sterminare, ma nel pieno – o quasi – della sua fortuna. Apparentemente il confronto è risolto in modo sbrigativo: la disumana e cieca rigidità del nazismo non suscita nessun rimpianto, né si può provare attrazione per l’idiozia violenta congenita al comunismo, che non si può ritrarre se non facendone la caricatura. Ma questo non vuol dire che il capitalismo sia un prato fiorito.
Infatti il bieco realismo calcolatore e senza scrupoli, che permette all’aggressivo C.R.² McNamara, dirigente – non a caso – della Coca-cola, di stare a galla sopra gli altri nel mare tempestoso dell’economia, da un lato sembra far parte della sua natura come una seconda pelle, ma dall’altro lo rende un individuo per diversi aspetti odioso. Il fatto che in apparenza se ne freghi, dall’alto della sua ricchezza e autorità, non lo rende in realtà meno solo e insopportabile, specialmente alle persone che gli sono affettivamente più vicine, e non aiuta certo a sfrondare il sottobosco di opportunismo che gli sta intorno e che condiziona tutti i suoi rapporti umani.
La felicità? Non si vede. Forse non c’è: né per chi comanda né per chi si piega e obbedisce in modo da tirare avanti. O comunque non si può chiederla alla politica, il che attenua in modo decisivo i pregi che comunque l’Occidente liberale conserva rispetto ai totalitarismi. È davvero faticoso vivere la tensione di un mondo in cui è normale che il progresso non abbia realmente ridotto il peso e la drammaticità della lotta per sopravvivere: il complesso produttivo e commerciale preme sugli individui con una forza smisurata alla quale essi non possono resistere e che quindi trasforma la loro esistenza nel profondo. Ma non nei lenti e graduali tempi darwiniani dell’evoluzione: la spietatezza del sistema occidentale richiede di essere pronti a rinunciare, immediatamente (Uno, due, tre!) e volentieri, senza disperdere energie in inutili piagnistei, a qualsiasi self, anche agli aspetti della propria identità che un momento prima si consideravano irrinunciabili.
L’Occidente è una trottola, una giostra, per star bene sulla quale bisogna essere in grado di vivere in una dimensione di eterna adolescenza, conservando l’età mentale di una quattordicenne, come fa Rossella/Scarlett Hazeltine, un’autentica woo girl ante litteram, l’unica ad accogliere ognuna delle molte piccole e grandi sorprese che si accavallano nella trama della vicenda con un urletto entusiasta come di fronte a una novità della moda. Per gli adulti, invece, come McNamara e come noi oggi, la vita è più dura. Perché è vero che il mondo è molto cambiato, che non ci sono più le grandi ideologie – con il loro carico minaccioso di guerra potenziale – rispetto alle quali il genio del Billy Wilder sceneggiatore (con Ira Diamond) riesce a trovare quasi sempre la leggerezza e l’equilibrio di chi ha i tempi comici sulla punta della dita, facendoci ridere di cose spaventose. Ma è anche vero non solo che le cose spaventose e le guerre anche oggi non ce le facciamo mancare, ma soprattutto che continuiamo a stare tutti sulla vecchia trottola, aggiornata dalla tecnologia che la fa correre molto più velocemente e vorticosamente rispetto a quei sessant’anni fa.
Infatti, possiamo negare che anche a noi, che abbiamo più di 14 anni, le orbite di questo mondo di oggi – dopotutto non così diverso da quello di ieri – fanno girare parecchio la testa? Ebbene, (ri)vedere questo film ci fa capire meglio come è cominciata la faccenda, come funziona il meccanismo. E magari ci fa pensare che alcune delle cose spaventose che succedono oggi si spieghino proprio così: quando alla gente gira molto la testa, può succedere che, per cercare (presumibilmente invano) di rallentare o fermare il movimento, qualcuno provi a ricorrere ad arnesi ideali ancora più vecchi e scaduti rispetto alle grandi e terribili ideologie, ma comunque pericolosi, capaci – come purtroppo vediamo guardandoci attorno – di seminare in giro parecchio dolore e povertà.
Di fronte a problemi di questo tipo (storici, geopolitici, sociologici…) e di queste proporzioni Billy Wilder si ferma sempre un passo indietro. La sua dimensione resta quella dell’individuo, la prospettiva del suo sguardo sulle cose resta quella dei minimi sistemi, delle strategie di sopravvivenza da inventare nel quotidiano. A lui, tutto sommato, la trottola non dispiace completamente, è un gioco antico e forse un po’ infantile ma sempre divertente. Non sappiamo se oggi sarebbe in grado di abituarsi anche alla nostra velocità o se rimarrebbe stordito dai nostri tempi di trasmissione e spostamento, ma immagino che avrebbe qualche mossa da suggerirci per migliorare il nostro adattamento al mondo. O almeno riuscirebbe a trovare il modo di divertirci anche in questi anni, in cui spesso possiamo avere l’impressione che da ridere non ci sia gran che.
¹ Il soggetto è tratto da un testo teatrale scritto negli anni ‘20 da Ferenc Molnàr (lo scrittore ungherese dei “Ragazzi della via Pàl”)
² Del nome del protagonista, non a caso, sappiamo solo le iniziali.