Il mio giardino persiano

Un pomeriggio, dopo un pranzo con le amiche, Mahin decide di rompere la sua routine solitaria e di riaprirsi all’amore. Un incontro inaspettato si trasformerà in una serata indimenticabile e il desiderio, almeno per una notte, avrà la meglio sulle regole della vita e sulle leggi del regime iraniano.
Maryam Moghaddam e Behtash Sanaeeha
Maryam Moghaddam è nata a Teheran. È attrice, sceneggiatrice e regista. Ha conseguito untitolo di studio presso la Performing Arts School di Gothenburg, in Svezia. Ha recitato in svariatiteatri svedesi ed è apparsa in film iraniani come CLOSED CURTAIN (PARDE, 2013) di Jafar Panahie Kambuzia Partovi, che ha vinto un Orso d’argento alla 63esima edizione della Berlinale.
Behtash Sanaeeha è nato a Shiraz. Dopo aver ottenuto la sua laurea in architettura, ha iniziato ascrivere sceneggiature e a dirigere cortometraggi, documentari e spot pubblicitari. Il suo primo lungometraggio, RISK OF ACID RAIN (2015), è stato presentato presso oltre trenta festival internazionali. Behtash e Maryam hanno iniziato a collaborare scrivendo la sceneggiatura del lungometraggioRISK OF ACID RAIN (2015). Il loro film BALLAD OF A WHITE COW ha fatto il suo debutto in Concorso alla Berlinale del 2021. Il film è stato venduto da a oltre 40 distributori nel mondo.
Dichiarazioni degli sceneggiatori – Registi Maryam Moghaddam e Behtash Sanaeeha
Nei paesi mediorientali, governati da ideologie religiose, le donne vengono considerate cittadini di seconda classe.
Vengono private di moltissimi diritti e possono rivendicare una loro identità solo attraverso gli uomini presenti nelle loro vite. Sfortunatamente, anche le donne iraniane rientrano in questa categoria di donne. Per anni, le donne iraniane hanno dovuto confrontarsi con leggi ingiuste come l’obbligo di indossare l’hijab e la mancanza di pari diritti. Le relazioni con il sesso opposto vengono osservate al microscopio in tutte le situazioni. Queste condizioni diventano ancora più complesse quando una donna decide di vivere da sola, come nel caso della nostra protagonista, Mahin.
In Il mio giardino persiano focalizziamo la nostra attenzione sulla figura delle donne, la solitudine, la vecchiaia e sull’assurdità della vita. Il film racconta la storia di una donna che vive da sola e cerca di essere indipendente in una società tradizionale. Mahin non ha scelta: deve preoccuparsi delle opinioni e delle minacce di una società religiosa e misogina. È una donna le cui libertà fondamentali sono limitate da leggi che sono intrinsecamente anti-donna.
Il popolo iraniano da molti anni è costretto a vedere tristezza e desolazione, e sa che se ha l’opportunità di essere felice, deve apprezzarla fino in fondo. Perché forse quel momento di felicità sarà l’unica opportunità che avrà. Questa è anche una storia sull’importanza di afferrare quel momento.
Il film è ambientato in un momento in cui le donne iraniane si sono spostate in prima linea nella lotta per ottenere cambiamenti sociali e stanno cercando di abbattere i muri di queste credenze obsolete e fossilizzate.
Sono le stesse credenze che proibiscono a scrittori, cineasti e agli storyteller di rappresentare le vere vite delle donne iraniane dietro le porte chiuse. La pre-produzione del film è cominciata all’inizio dell’estate e tre mesi prima dell’inizio del movimento Donna, vita e libertà. Eravamo all’inizio delle riprese quando Mehsa Gina Amini fu uccisa. La nostra troupe era sotto shock e non è stato facile continuare a lavorare nello stato d’animo in cui ci trovavamo.
Erano giorni terribili. Le riprese dovettero essere fatte il più possibile in segreto. Non potevamo fermarci, né poteva essere ignorato quello che succedeva nelle strade. Anche se eravamo in grande difficoltà, concordammo tutti insieme di portare avanti e terminare questo film. Un film che vuole essere un inno alle donne, un inno alla vita e un inno alla libertà.
Per anni, i cineasti iraniani hanno realizzato film sotto il peso di regole limitanti. Violare le regole può portare ad anni di sospensione o alla reclusione. In questa situazione deplorevole, stiamo ancora cercando di raccontare la realtà della società iraniana nei nostri film, una realtà che di solito si perde sotto i tanti strati di censura.
Violare alcune di queste limitazioni è una scelta che stiamo facendo di proposito, e speriamo di essere in grado di raccontare il problema delle donne iraniane. Siamo convinti che non sia più possibile raccontare la storia di una donna iraniana mentre si replica l’oppressione, come succede per l’obbligo di indossare l’hijab. Alle donne non è mai stato permesso di avere le loro vite reali raccontate sullo schermo, quelle vite reali che le raffigurano come sono nelle loro case. Questa volta abbiamo deciso di oltrepassare i confini di ciò che è permesso. E accettiamo le conseguenze di questa scelta.
Già dopo aver realizzato il film Ballad Of a White Cow siamo rimasti invischiati in un caso legale che è durato due anni. La stessa querela sporta contro di noi dalle agenzie addette alla sicurezza per aver realizzato quel film con il suo contenuto contro la pena di morte e le esecuzioni capitali è continuata fino a poco tempo fa, ed ha fatto sì che il film venisse bandito. Ma il successo del film ci ha anche motivato a non aver paura e a continuare a lottare per realizzare i film che volevamo.
Anche gli attori che lavorano in questo tipo di film possono ritrovarsi a dover affrontare conseguenze complesse. La splendida attrice che interpreta la nostra protagonista, e che abbiamo scelto per questo ruolo fin dall’inizio, ha corso un grosso rischio lavorando in questo film. Non sono molte le attrici del cinema iraniano che accetterebbero di interpretare un ruolo come questo.
Si ha l’impressione che in Iran anche qualsiasi storia non-politica diventi più politica, di attimo in attimo, perché tutto in Iran è collegato alla situazione politica del paese. Anche quello che mangi. Quello che indossi. Anche le relazioni intime delle persone.
Questa è una storia che racconta la realtà delle vite quotidiane di donne del ceto medio in Iran, e guarda da vicino la solitudine di una donna che sta arrivando alla soglia della vecchiaia. Le realtà delle vite delle donne in Iran non sono quasi mai state raccontate, ma il film è un racconto gioioso sulla speranza e sui piaceri della vita, oltre che sull’assurdità della morte.





