Goodbye Julia

Alla vigilia della secessione del Sud Sudan nel 2011, Mouna (Eiman Yousif), una donna benestante di Khartoum causa involontariamente la morte di un giovane uomo del Sud. Sconvolta dal senso di colpa, decide di assumere come domestica la moglie Julia (Siran Riak) offrendole un sostegno economico nel tentativo di espiare la propria colpa.
Tra le due donne nasce un legame inaspettato, fatto di complicità e silenzi, che le porterà a confrontarsi con verità scomode e a cambiare per sempre il corso delle loro vite.
Note di regia – Mohamed Kordofani
“Il razzismo praticato per molti decenni dalla maggior parte degli arabi del Nord, dal governo e dal popolo, è stato uno dei motivi principali per cui quelli del Sud hanno scelto la secessione. Ciò è diventato oltremodo evidente quando i risultati hanno rivelato che uno schiacciante 99% della gente del Sud voleva separarsi. Non è possibile che un intero popolo scelga la secessione per qualche altro motivo.
Mi sono reso conto, allora, che in qualche modo anch’io ero responsabile di quella decisione: per tutta la mia vita, a Khartum non avevo mai conosciuto nessuno del Sud tranne alcune collaboratrici domestiche, come se avessimo praticato l’apartheid sociale.
Scrivere questo film è stato per me parte di uno sforzo continuo per sbarazzarmi di quel razzismo ereditato, ero motivato da un senso di colpa, da un desiderio di riconciliazione e da un appello a farlo tutti, anche se ora potrebbe sembrare tardi.
La riconciliazione non è necessaria solo con la gente del Sud, ma ne abbiamo bisogno come progetto nazionale per preservare ciò che resta del Sudan e per costruire una nuova identità nazionale che sia orgogliosa dei valori di umanità, convivenza e giustizia invece che di quelli legati alla razza, tribù e genere.
Inoltre, il mio dovere in quanto artista ha reso per me imperativo documentare la storia da un punto di vista sociale anziché politico, il cui quadro espositivo nel film è solo parziale e non completo.
Goodbye Julia è un viaggio difficile attraverso la memoria collettiva dei popoli sudanesi e Sud sudanesi che racconta la normale vita quotidiana di due donne legate tra loro da situazioni sociali e politiche insolite che le hanno segnate fortemente. La sua narrazione è ispirata alle fasi della riconciliazione e discute temi come il rimorso, la compensazione, la rivelazione, la confessione di colpa e il pentimento per essa.
Il film esamina le dinamiche della complicata interazione tra nordisti e sudisti, così come il conflitto tra progressismo e conservatorismo, nei suoi modelli, e affronta il processo di cambiamento che dobbiamo attraversare per riconciliarci e guarire come persone e come società.
Il film è stato anche piuttosto impegnativo da realizzare, poiché abbiamo dovuto fare i conti con un colpo di stato militare, proteste continue e la mancanza di infrastrutture. Ma, allo stesso tempo, questa rivoluzione sta cercando di cambiare i concetti prima ancora del regime, il che rende il momento ideale per mostrare il film non solo al pubblico sudanese ma al mondo intero, poiché molte società di tutti i tipi stanno soffrendo in un modo o nell’altro per l’assenza di giustizia e per problemi di convivenza e polarizzazione”
Riferimenti storici
Il film si svolge negli ultimi anni del Sudan come Paese unito e inizia nel 2005 quando, di ritorno da un viaggio in Uganda, muore in un incidente in elicottero John Garang, primo vicepresidente nonché storico leader dell’Esercito di liberazione del popolo sudanese, (SPLM), gruppo armato di opposizione al governo centrale.
Militare di lunga carriera, con la creazione nel 1983 dell’Esercito di liberazione del popolo di Sudan, Garang si era fatto portavoce del desiderio di indipendenza della regione del Sud, incitando tutti i soldati dell’esercito sudanese originari del Sud all’ammutinamento contro il dominio islamico del Nord sul Sud cristiano-animista. Un’azione che scateno la seconda guerra civile sudanese, un conflitto sanguinoso che avrebbe portato ad almeno due milioni di morti in venti anni di guerra.
Le trattative di pace incominciarono unicamente nel 2003: Ali Osman, primo vice presidente sudanese e Garang si incontrarono in privato a Naivasha. I loro incontri e le loro trattative segrete portarono a un accordo di pace, il “Comprehensive Peace Agreement” (CPA), siglato nel capodanno 2004. Il CPA rispettava l’idea di un “nuovo Sudan” di cui si faceva portavoce Garang: il potere sarebbe stato diviso equamente tra le due parti del Paese e i due rispettivi partiti più forti (il National Congress Party e il Sudan People’s Liberation Movement di Garang) per sei anni, fino al 2010, e Garang ne sarebbe divenuto vicepresidente oltre ad essere premier della regione autonoma del Sud Sudan. L’accordo di pace prevedeva inoltre che nel 2011 si sarebbe tenuto un referendum per decidere l’eventuale separazione del Sud e la creazione di un nuovo Stato indipendente.
Cosa che effettivamente avvenne: con un’affluenza elevatissima e una schiacciante maggioranza di voti a favore (oltre il 99%) il referendum ha sancito il desiderio di separazione dei sud sudanesi che di lì a breve sarebbero stati espulsi in massa per raggiungere il Sud, sancendo cosi la definitiva divisione politica del Paese. Il 7 febbraio 2011 il presidente del Sudan, Omar Hasan Ahmad al-Bashir, ufficializzando i risultati del referendum, ha proclamato la nascita dello Stato del Sud Sudan, divenuto il cinquantaquattresimo stato africano. Il 9 luglio 2011, dopo un periodo di prova, ne è stata proclamata l’indipendenza, subito riconosciuta dal governo di Khartum e dalla comunità internazionale.
Ma l’entusiasmo per la separazione è durato poco. Mentre il Nord del Paese viveva un periodo di relativa quiete lo “stato più giovane del mondo” del Sud Sudan è stato presto teatro di una guerra civile sanguinosa tra i gruppi delle varie etnie residenti, una guerra che oltre a massacrare i civili, ha lasciato strascichi profondi dal punto di vista dell’impunità per i responsabili di crimini di guerra quali uccisioni di massa, torture e stupri.
Lo stesso sarebbe accaduto a breve nel Nord, con una serie di sommosse popolari che nel 2019 hanno portato alle dimissioni di Omar al-Bashir e dato vita a un periodo di forti instabilità e continui colpi di stato da parte delle forze armate.
Nell’aprile del 2023, un ennesimo tentativo di golpe è stato attuato dal generale Mohammed Dagalo, capo di un’organizzazione paramilitare denominata “Forze di Supporto Rapido” (RSF) e creata illo tempore dal Presidente Omar al Bashir per attuare una pulizia etnica delle popolazioni non-arabe presenti in Darfur.
Questo ha dato inizio a una serie di scontri armati tra l’esercito ribelle e l’esercito ufficiale e scatenato una guerra civile tuttora in corso che rappresenta una delle più gravi crisi umanitarie contemporanee con conseguenze drammatiche per la popolazione dell’intero Paese.
